"Trovo la televisione molto educativa, ogni volta che qualcuno l'accende, vado nell'altra stanza a leggere un libro" Groucho Marx
sabato, dicembre 29, 2007
martedì, dicembre 25, 2007
sabato, dicembre 22, 2007
giovedì, dicembre 20, 2007
Qualche mese fa avevo recensito qui un libro non eccelso, ma interessante, precisando che non avevo ancora idea se fosse stato tradotto o meno.
Sono "lietissima" di annunciare che Einaudi continua la scia di sangue delle sue traduzioni, pubblicando Mother's Milk come "La famiglia Melrose".
E se il buongiorno si vede dal mattino...per fortuna che all'epoca avevano Pavese a tradurre Melville.
mercoledì, dicembre 19, 2007
martedì, dicembre 18, 2007
domenica, dicembre 16, 2007
*SFIDE DA 1 PUNTO*
*SFIDE DA 3 PUNTI*
*SFIDE DA 5 PUNTI*
Dopo i consigli per l'ufficio ... ecco quelli per il Supermercato ..
2) Programma tutte le sveglie del reparto casa in modo che suonino a intervalli di 5 minuti.
3) Lascia una striscia di succo di pomodoro per terra in direzione del bagno.
4) Avvicinati a un impiegato e digli con tono serio: 'codice 3 nel reparto casa'. E osserva la sua reazione.
5) Quando ti si avvicina una dipendente e ti chiede se ti puo' aiutare, inizia a piangere e chiedile 'Perche' non mi lasciate in pace?'.
6) Fissa la telecamera per la sicurezza e usala come specchio mentre peschi nel tuo naso.
7) Mentre guardi i coltelli da macelleria, chiedi alla dipendente se sa dove sono gli antidepressivi.
9) Nasconditi dietro i vestiti e quando la gente si avvicina per dare un'occhiata, di' a voce bassa 'prendimi, prendimi'.
10) Quando annunciano qualcosa al megafono, aggomitolati in posizione fetale e grida 'ancora quelle voci!! '.
11) Entra in un camerino e grida a voce alta: 'Hey! Non c'e' carta!!!!'
mercoledì, dicembre 12, 2007
Inauguriamo un altro filone di recensioni e cioè quelle dei fumetti con una delle opere migliori che mi sia capitata per le mani ultimamente. La verità è che io mi sto disintossicando dai fumetti ormai da anni, per essere precisi sono quasi otto anni, perchè per il millennio ho chiuso tutte le mie collezioni, me le sono vendute e ci sono andata a Disneyworld, mi sembrava molto catartico.
martedì, dicembre 11, 2007
Dialogo a due voci
Martedì 11 dicembre ore 18.00 presso la Biblioteca Basaglia
Prefetto emerito della Congregazione per le Chiese orientali
Erri De Luca
Scrittore
Ingresso libero
domenica, dicembre 09, 2007
venerdì, dicembre 07, 2007
Alla fine dell’estate chi è stato l’ultimo a uscire dal mare?
L’ultimo è tornato a casa senza chiudere il coperchio del mare
Questo è l'incipit del nuovo libro di Banana, travolgente immersione nelle sue rarefatte atmosfere giapponesi; ormai per me i suoi libri hanno il peso specifico dell'anima, parafrasando il famoso film, 28 grammi di leggerezza.
mercoledì, dicembre 05, 2007
Sushi for beginners, lungi dall'essere una piccola crema perfetta come
Tipicamente "da femmine" e farcito di quella psicologia spicciola da amica e da divano che tanto ci piace (non parlavo di amica psicologa, GB!!!), traccia in un anno la storia di tre donne più qualcun'altra di contorno e di una rivista patinata.
Lisa, una workaholic incolta, ma furba e graziosa, convinta di esser promossa dalla sede di una casa editrice di Londra per raggiungere la New York dei suoi sogni in un simil-Vogue, si vede invece affidare l'incarico di direttrice di un nuovo femminile a …Dublino.
Piccata e inviperita, completamente ignara di cosa sia l'Irlanda, troverà una redazione sui generis (tra cui Ashling, una delle protagoniste), una richiesta di divorzio dal suo ex marito, vicini interessanti e…una rivista che prende forma sotto i suoi occhi, insieme a varie ed eventuali relazioni.
Con un occhio divertito sul mondo delle fashion victim e un altro sul boom economico irlandese (il romanzo è ambientato a qualche anno fa) si ride, ci si ritrova e si aspetta il lieto fine (che per alcuni non sarà cosi' lieto) senza grossi traumi per le capacità intellettive, ma con un bel sollievo per l'umore, grazie al peso specifico della storia.
Il motivo del titolo…non si scopre se non nelle ultime pagine.
Forse è consigliabile aspettare la stagione della crema solare, ma se volete far volare una domenica pomeriggio fredda e piovosa...
martedì, dicembre 04, 2007
Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di S. CeciliaDirettore Antonio Pappano – 28 Novembre 2007 - Recensore esterno YARI
Programma:G. Rossini (Pesaro, 1792 – Parigi, 1868)
Guillaume Tell
Opera in 4 atti in forma di concerto
Ellie Dehn, Norah Amsellem Soprani
Laura Polverelli Mezzosoprano
J.Osborn, Vincent Ordonneau, Celso Abelo Tenori
Jérome Varnier Baritono
Michele Pertusi, Alex Esposito, Frédéric Caton, Darren Jeffrey, Davide Malvestio Bassi
Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di S. CeciliaDirettore del Coro Norbert Balatsch
Direttore Antonio Pappano
E qui ci voleva coraggio, perché già dal concerto precedente avevano cominciato a metterci sull’avviso ‘Gentili abbonati, per permettervi una più agevole visione dell’opera, della durata di 4h 4, abbiamo pensato di proporvi una degustazione di tramezzini Rossiniani’ ma va da via l’oboe...vabbè, però le 4h ore erano un dato di fatto. Così prima di andare là ho fatto training autogeno, ‘ce la faccio ce la faccio’, è ho preso anche un caffè alle 5 per sfruttarne l’effetto. Dopo lunghe code per lavori e blocco della città da parte dei simpatici, come una colica, taxi romani (ve possino), dopo Emily Dickynson (ma questa è una storia diversa) alla radio, sono arrivato, mi sono seduto, al mio posto, nella pancia della balena, ho aperto il libretto e sono rimasto a bocca aperta, come un manga giapponese quando ha appena ricevuto una martellata in testa, o una notizia bruttissima, con due cerotti incrociati al posto degli occhi, leggendo: Opera in 4 atti in francese con sovratitoli in italiano Nooohhhhhooooooo (detto con la voce dell’omino focaccina), mio dio.
Mentre pensavo questo è arrivato il buio in sala ed è parita l’overture arcinota, bhè che dire, io ho già scritto altrove che l’overture delle opere è come l’incipt di un libro, può fare davvero la differenza il modo in cui qualcuno ti prende da dove sei e ti porta in un posto ed in un tempo ‘altri’. Quello del Guglielmo Tell è un modo bellissimo di portarti via e loro l’hanno suonata meravigliosamente. Da lì in poi è diventato un esercizio di concentrazione e di goduria: Occhio sui sovratitoli in italiano per capire che diavolo succede, dopo di che lettura quasi braille (visto la scarsissima luce in sala) del libretto francese per seguire il canto e, infine, abbandono alla musica. La mia vicina ha cominciato a russare dopo la prima mezz’ora del primo atto ed ha pensato bene, anche per noi, di abbandonare alla fine dello stesso. Io alla fine del primo atto cominciavo a capire nuovamente il francese senza bisogno dei sovratitoli. Insomma, stavolta la faccio breve: Alla fine delle 4h, in un giorno lavorativo, io sono rimasto sveglio e piantato sulla mia poltrona e il finale dell’opera mi ha inchiavardato lì con un magone fortissimo. E dire che si raccontava della poco credibile ribellione dei cantoni svizzeri all’oppressore e di un amore detto in francese… ma quanto deve essere bella la musica e quanto prefetto il canto per permettere una cosa così? Quanta bravura ci vuole per farti appassionare alla rivolta messa in atto da un popolo meglio, per non dire quasi soltanto, noto per cioccolatini e banche? Tant’è, così è. Ancora una volta ci si è stupiti del Coro, che prende ovazioni alla pari dei più quotati interpreti solisti e dell’orchestra, come sempre, davvero sorprendentemente unitaria nelle orchestrazioni ricche di parti veloci e ritmate. Dei solisti ne sono usciti alla grandissima Vincent Ordonneau nel ruolo di Rodolfo, davvero una gran bella interpretazione riconosciuta dal pubblico, e più prevedibilmente, visti i ruoli: Michele Pertusi (Guglielmo), Jhon Osborn (Arnold Melchtal), Frédéric Caton (Melchtal) ed Ellie Dehn (Jemmy), ma sono stati tutti quanti su livelli davvero alti. Tornato a casa ho cucinato qualcosa e non ho neppure pensato di accendere la televisione, a cosa serve quella scatola stonata quando puoi raccontare ed ascoltare storie così?
lunedì, dicembre 03, 2007
Come preannunciato ecco qui il post sul libro più bello che mi sia capitato tra le mani da anni, e vi assicuro che non sono pochi. Probabilmente me l'avete visto già scrivere parecchie volte, ma questo post annulla i precedenti.
L'eleganza del riccio o il mondo visto dalla guardiola di una portineria di un elegante condomino francese, che diventa specchio e finestra sulle debolezze umane, con due giudici d'eccezione: Paloma, dodicenne disincantata il cui QI fa sfigurare quello di chiunque altro e Renèe, la portinaia che cita Proust, affascinata dai film giapponesi e che riconosce alle prime note l'Enea e Didone di Purcell.
Un microcosmo che viene turbato dall'arrivo del Sig. Ozu, giapponese con tutti i crismi che riconosce e toglie le maschere ad entrambe, permettendo loro di essere, per la prima volta, veramente se stesse.
Un libro narrato a due voci, si alternano quella di Renèe e quella di Paloma, anche il carattere è diverso proprio per non farci cadere in errore per quanto sono simili le loro visioni del mondo che le circonda; stupende alcune frasi che emergono dalle riflessioni delle due donne: "...la gente crede di inseguire le stelle e finisce come un pesce rosso in una boccia".
Due personaggi che cercano a tutti costi di non allontanarsi dai loro clichè in modo da poter vivere in pace negli spazi che si ritagliano all'insaputa degli altri. Il dialogo tra Paloma e lo psichiatra della madre vale da solo tutti i soldi del libro.
"Chi semina desiderio raccoglie oppressione" afferma Renèe citando Marx, ma solo quando è convinta che il suo interlocutore non la possa capire, mentre le pagine del diario di Paloma ci fanno vedere il mondo attraverso gli occhi di una dodicenne aspirante suicida il cui distacco dalle cose del mondo sembra già pari a quello di un monaco tibetano, con diversa soluzione.
Cita Husserl la portinaia e guarda i film di Ozu, il grande cineasta, che conosce il concetto di “wabi”, che vuol dire “forma nascosta del bello, qualità di raffinatezza mascherata di rusticità”, mentre Paloma disserta sulle profondissime differenze d'impostazione e di scopi tra gli scacchi e il go.
Renée e Paloma riescono a spacciare letture colte, cinema di élite e teorie filosofiche, senza la minima pedanteria, probabilmente io mi sono accorta di un decimo delle citazioni, lasciando che il libro continui a scorrere senza incontrare nemmeno un ostacolo.
Spero di avervi convinto a comprarlo, al massimo fatevelo regalare per Natale, perchè ne vale proprio la pena. Se volete, fatevi anche un giro qui.
giovedì, novembre 29, 2007
Più voci amichevoli mi hanno detto che questo era un libro un po' particolare per superare il blocco del lettore (che la mia socia GB credo non abbia mai conosciuto e che invece per me è stato causa prima della recente latitanza da questi lidi).
Io ho una teoria differente. In caso di blocco qualunque libro ti chiami dallo scaffale è quello giusto, che sia il "Manuale di costruzione di un biplano nel tuo salotto" o la Bhagavadgita.
E "La speranza indiana" mi ha chiamato a voce alta. Sarà stata l'immagine di copertina (ho un debole per l'iconografia indiana) o il mio interesse spiccato per questo Stato cosi' contradditorio e antico, sta di fatto che magicamente, la mia pigrizia mentale si è diradata.
E a ragione.
Non sono un'economista, né purtroppo, molto ferrata sulla storia dell'India, ma il modo di scrivere di Rampini, di cui vi consiglio anche altre sue creature (Il secolo cinese, L'impero di Cindia, L'ombra di Mao) è quanto di più diretto e semplice si possa desiderare, per un testo che non è un romanzo, né un reportage in senso stretto, ma un mini-saggio.
Forse appena troppo entusiastico (ho compensato con un articolo di Arundhati Roy riportato dall'Internazionale, decisamente più pessimista), ma interessante e ricco di storie personali che chiarificano i concetti, "La speranza indiana" ti fa venire voglia di approfondire l'argomento e leggere tutto cio' che possa essere collegato alla evoluzione, veloce, ma non priva di anima né resa impersonale da un regime, della nazione indiana.
La nazione che, secondo le statistiche riportate nel libro, sarà in capo a qualche decennio, la più giovane e lanciata economicamente del mondo, anche perché è già la più ottimista.
Buona lettura!
mercoledì, novembre 28, 2007
Art. 7. Regolamentazione della circolazione nei centri abitati
"..... I divieti di sosta si intendono imposti dalle ore 8 alle ore 20 salvo che sia diversamente indicato nel relativo segnale....."
lunedì, novembre 26, 2007
giovedì, novembre 22, 2007
Ecco a voi la migliore produzione francese dopo i formaggi a pasta molle.
Lo trovate anche qui, qui e qui.
mercoledì, novembre 21, 2007
martedì, novembre 20, 2007
lunedì, novembre 19, 2007
Contatti Informazioni: Comitato Giù le Mani dai Bambini
domenica, novembre 18, 2007
recensore esterno: mammonza
Troppo bello per essere vero! dopo aver letto negli ultimi tempi libri belli ma catastrofici, libri che iniziano con una trama triste e tu lo leggi sempre con la speranza che poi alla fine volga al bello e alla fine rimani sconsolata, bè qui rimani non dico contenta ma almeno ottimista!
sabato, novembre 17, 2007
Vuoi che l'agroalimentare, il cibo e la sua genuinità siano il cuore dello sviluppo, fatto di persone e territori, salute e qualità, sostenibile e innovativo, fondato sulla biodiversità, libero da OGM?
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Hai tempo fino al 9 dicembre
venerdì, novembre 16, 2007
Presentano
IL SOGNO DEL SOLDATO
Da IL SOLDATO TANAKA, di Georg Kaiser
Regia di DIEGO PERUGINI E BEATRICE SIMONETTI
REPLICA DI BENEFICENZA all'Istituto Superiore Antincendi
Il Sogno del soldato è la rielaborazone del testo Il soldato Tanaka, di Georg Kaiser, autore massimo dell’espressionismo tedesco.
Scritto nel 1940, Il soldato Tanaka è uno degli ultimi lavori di Kaiser che morirà cinque anni più tardi in Svizzera.
Una storia semplice, raccontata dall’autore con l’ingenuità e il candore di una parabola.
Nel Giappone rurale, dove i contadini in mancanza d’altro si nutrono di radici sterrate, Tanaka torna presso il villaggio nativo, in visita alla sua famiglia povera che inspiegabilmente accoglie il buon figliolo con libagioni prelibate. Il clima gaio e pastorale lascia solo intravedere segnali d’inquietudine allorquando Tanaka chiede di Yoshiko, sorella minore promessa in sposa al suo amico e commilitone Wada, ricevendo dai genitori una vaga e imbarazzata risposta.
Il pasto in suo onore viene consumato in un clima d’euforia ed esaltazione sublimato dai racconti di Tanaka e Wada sulla magnificenza dell’Imperatore.
Tempo dopo, in un bordello dove con i suoi compagni di battaglione si trova a festeggiare una licenza premio,Tanaka il giusto, Tanaka l’ingenuo vedrà il suo mondo crollare. Le sue certezze si sgretolano di fronte al grande inganno, sua sorella venduta come prostituta dai genitori in cambio dei soldi per il lauto pasto che ha accolto il ritorno a casa del fratello soldato.
Il disinganno diventa allora vendetta, fratricidio, uccisione di un superiore.
Il lungo dibattimento sancisce la colpevolezza di Tanaka e ne decreta la morte.
Il suo valore e le circostanze che l’hanno indotto al gesto potranno tuttavia salvarlo, se chiederà scusa all’Imperatore.
Un lungo e struggente monologo finale chiuderà l’esistenza del soldato Tanaka, apolide senza più senso di appartenenza, consapevole dell’impostura dell’Imperatore e del suo grande inganno.
Prototipo dell’Idealismo tedesco, Tanaka incarna tutte le virtù del buon soldato. Leale, generoso, saggio, esprime nei suoi postulati la fede cieca nell’esercizio del Bene in un ordine sociale immutabile dove, speculare alla miseria dei contadini, si erge la potenza dell’esercito, magnifica emanazione dell’Imperatore.
Il sovrano, terminale e tramite divino in una struttura ascensionale dove anche la miseria e l’ingiustizia hanno una funzionalità positiva, è sempre al centro dei racconti di Tanaka. Nel furore mistico che accompagna le iperboli visionarie del soldato non è difficile scorgere un evidente riferimento alla gioventù hitleriana (il testo è del 1940, prima fase della Guerra Mondiale, quando la Germania avanzava incontrastata alla conquista dell’Europa).
Pur nella piena adesione all’impronta antiautoritaria e antimilitarista del testo originario, la messa in scena cerca il suo nucleo nel processo visto come contrapposizione fra l’Uomo Tanaka, ormai nudo in quanto spoglio delle sovrastrutture sociali (onore, lealtà, ubbidienza) e quella che un tempo era stata la sua Comunità. Egli non muore per l’uccisione del graduato, ma per il suo rifiuto a chiedere scusa rientrando così nei ranghi di un sentire comune in un luogo comune.
Tanaka lo straniero, scorge nei tratti cangianti dei suoi giudici le sembianze di quel mondo al quale un tempo appartenne e che ora, nel momento del congedo, saluta con le parole di Sartre “… Addio bei gigli, così delicati nei vostri piccoli santuari dipinti, addio bei gigli, nostro orgoglio e nostra ragion d’essere, addio, addio. Schifosi.”
mercoledì, novembre 14, 2007
lunedì, novembre 12, 2007
MERCOLEDÌ 14 NOVEMBRE 2007ORE 21.00
ACCADEMIA NAZIONALE DI SANTA CECILIA- Stagione Sinfonica 2007 - 2008 in diretta dal Parco della Musica in Roma Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia direttore, James Conlon; pianoforte, Stefano Bollani musiche di Schulhoff , Gershwin e Dvorak .
sabato, novembre 10, 2007
CD 2 (Bonus Disc):
1. Find My Freedom (Japan Bonus Track)
venerdì, novembre 09, 2007
Romania fa rima con etnia? di Valerio Evangelisti
L’identità dei rumeni è tale da rendere difficoltose le campagne d’odio razziste cui siamo ormai abituati. Sono di pelle bianca. Sono in maggioranza di fede cristiana (sia pure nelle variante greco-ortodossa). Parlano una lingua che discende in linea diretta dal latino. Fanno parte dell’Unione Europea.Non si possono applicare loro, insomma, i consueti alibi che giustificano il razzismo dilagante in questa porcheria di paese: lo “scontro di civiltà”, la “lotta al terrorismo”, la differenza di culture, e via delirando. I rumeni si chiamano così proprio per l’impronta lasciata loro dall’annessione a Roma – ammesso che simili argomenti abbiano un senso. Anzi, quando l’impero romano era ormai scomparso, là se ne teneva vivo un brandello. Dico questo per prevenire le obiezioni delle canaglie fasciste, sempre pronte ad asservire la storia per giustificare i propri delitti. Non vi serve cercare Dna particolari. La Romania era ed è più latina di quanto non lo sia l’ipotetica “Padania”. Se siete fascisti, siatelo fino in fondo. Se siete “padani”, andate affanculo. Da bravi barbari, vi bevete l’acqua del dio fiume, con larve annesse. Prosit!
Veniamo al caso che invade le cronache. Un rumeno, per la precisione un Rom, violenta e uccide una povera donna. Dove abito io, l’ultima violenza carnale di una lunga serie è stata commessa, se ricordo bene, da un calabrese ubriaco. Non mi risulta che, per questo, la Regione Emilia-Romagna abbia rotto le relazioni con la Regione Calabria, né che si sia scatenata una caccia al calabrese. Invece, se le cronache dicono il vero, il governo Prodi avrebbe richiamato l’ambasciatore in Romania. Non so se la notizia sia fondata, però ho visto Walter Veltroni, segretario del futuro Partito Democratikkko e sindaco di Roma, lamentare a Ballarò che i rumeni in Italia sono troppi (riecheggiando Beppe Grillo, altra brava persona), e rivendicare con orgoglio la distruzione delle loro baracche (dove siano finite le famiglie degli “sfollati” non si sa). Intanto, grazie anche alle indirette istigazioni dello stesso Veltroni, squadre di “giustizieri” sprangavano rumeni qualsiasi mentre, carichi di borse, uscivano da un supermercato, e distruggevano un negozio di “specialità dalla Romania”. Il Giornale applaudiva questa reazione spontanea delle masse. A mia conoscenza, mai il governo degli Stati Uniti ha convocato diplomatici italiani per rinfacciare loro ciò che stavano facendo, in territorio americano, gli affiliati alla Mano Nera o a Cosa Nostra. Pescava i colpevoli, se ci riusciva, e li sbatteva in galera. Solo da noi si fa ricadere un crimine su un popolo intero, e si prende a pretesto un delitto per criminalizzare una nazionalità nel suo complesso. Che i rumeni si consolino. Prima era già accaduto agli albanesi, ai nordafricani, ai polacchi, agli “slavi” in genere, ai meridionali. Nel Medioevo, i Veltroni di allora (o i Fini, o i Casini, o i Berlusconi, o i leghisti del tempo) imprecavano contro gli ebrei, che dissanguavano bambini cristiani. La - da me non tanto - compianta Oriana Fallaci inveiva contro i somali, rei di sporcare Firenze. Ogni epoca ha il suo stronzo, e la sua vittima.Tornando ai rumeni, delinquenti per vocazione genetica, cos’abbiamo fatto noi a loro? Una qualche reciprocità esiste.Era appena caduto il regime di Ceausescu e già migliaia di “imprenditori” italiani (chiamiamoli con il loro nome: “padroni” e “padroncini”) si fiondavano in Romania, come in altri paesi dell’Est, alla ricerca di manodopera sottopagata. L’avvilente epopea di questi tristi avventurieri è appena stata narrata da Andrea Bajani in un bellissimo romanzo, altamente consigliabile: Se consideri le colpe, Einaudi, 2007. I “portatori di progresso” italiani si rendevano complici di un doppio crimine: togliere lavoro in Italia e instaurare lavoro schiavistico altrove. Intanto un paese, sottratto a una dittatura ma lasciato nelle braccia del neoliberismo più brutale, assisteva a un degrado progressivo, e diventava tra i massimi esportatori di delinquenti e, soprattutto, prostitute. Nessuno, come i clienti di queste ultime, apprezza i benefici del capitalismo. D’altronde la merce è varia: un volo aereo e c’è, alla periferia di Timisoara, un bordello in cui sono in vendita minorenni dei due sessi. I padroncini vi si affollano. Fa comodo la miseria altrui, purché resti a casa propria. Se viene qua, si trasformerà in puro accidente o in scelta criminale. Che schifo! Che paese (o etnia, a questo punto?) di merda è diventato l’Italia!
giovedì, novembre 08, 2007
Se dovessi riassumere in un titolo quello che ho ascoltato, sarebbe ‘musica per cuori rossi’.
Parte prima, Ravel (che non ha scritto solo il Bolero, ma quello gli è rimasto cucito addosso come il Tenente Colombo a Peter Falck). Qua è tutt’altra cosa, una serie di 5 brevi pezzi, definiti infantili e scritti per essere eseguiti al pianoforte dai figli dei coniugi Cyprien.
La prima parte si chiude poi con il concerto per pianoforte ed orchestra di Aaron Copland .
Uno qui si sarebbe potuto accontentare tanto tutto era già sufficientemente bello, ma se invece, come me, ha scelto di restare, non ha sbagliato.
La seconda parte del concerto è stata, infatti, dedicata alla settima, ed ultima, sinfonia di Prokof’ev. Sinfonia in do diesis minore tonalità non proprio frequentatissima nella storia della musica.
Aaron Copland (New York 1900 – 1990)
Concerto per Clarinetto – 18’
S. Sergeevič Prokof’ev (Sontzovka, 1891 – Mosca, 1953)Sinfonia N.7 – 30’
Alessandro Carbonare Clarinetto Orchestra dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia Direttore Carlo Rizzari
mercoledì, novembre 07, 2007
lunedì, novembre 05, 2007
mercoledì, ottobre 31, 2007
Rest forever here in our hearts
The last and final moment is yours
That agony is your triumph!
martedì, ottobre 30, 2007
Avete presente quando qualche giorno, magari il lunedì mattina al lavoro, avete bisogno di qualcosa di allegro e spiritoso che vi tiri su?
Beh oggi m’è capitato e mi sono ricordato di una canzoncina ascoltata su MTV qualche giorno fa di un certo Paolo Nutini…
Mi sono detto: “quasi quasi vado a fare una ricerchina su youtube prima che mi arrivi un mega padulo dal manager!” e dopo poco “wow è questa!! New shoes!” ed ora, come al solito, il ritmo coinvolgente ed il video allegro mi ha tirato su il morale.
Swing piuttosto brit-soul e testo che dice “va bene così”, un po’ alla Kinsella, mi hanno sollevato e mi sono ritrovato a tenere il ritmo con il piede e la testa (non che sbatta la testa contro la scrivania o il pavimento… semplicemente faccio un po’ a destra, poi a sinistra tenendo il ritmo).
L’album, These Streets, ha una vena piuttosto differente rispetto a New shoes e Nutini sembra un artista promettente: vent’anni, scozzese, in appena due settimane dalla pubblicazione di Last Request, il suo primo e più conosciuto singolo, è arrivato al quinto posto nella classifica dei singoli in UK e l'album ha fatto ancora meglio, piazzandosi direttamente in terza posizione.
Insomma, alla Gonza Bassa non è piaciuta tanto (lei va sul metallo pesante), però ascoltatela… soprattutto se vi piace il rock-soul un po’ alla Ben Harper.
lunedì, ottobre 29, 2007
mercoledì, ottobre 24, 2007
Qualche giorno fa, a casa GonzaBassa adocchio in una pila enorme di tascabili pronti per la migrazione verso la magione in campagna, il Mio tascabile, quello che dopo avere letto diverse recensioni a riguardo e rimandato di libreria in libreria il suo acquisto, ("Si, sarà carino, ma dai…mi manca solo l'ombrellone e l'occhiale finto Gucci poi…") non mi ero ancora decisa a prendere, temendo fosse una versione irlandese dell'orrida Kinsella.
E me ne sono staccata ieri ringraziando il Cielo di essere in metro, perché quasi quasi ci spargevo anche qualche lacrima.
Intendiamoci, io sono un poco uterina recentemente e Rachel's holiday E' un chick flick, un libro per ragazze, facilone in molte parti e forse eccessivamente diluito.
Ma, a differenza di romanzetti dove la cosa fondamentale è la scarpa da abbinare al vestito, quante volte la protagonista si sollazza econ chi…questa novel ha qualcosa da dire e lo dice bene!
La storia è quella di Rachel Walsh (una delle sorelle su cui la Keyes costruisce diversi romanzi), una giovane irlandese a New York, che al principio del romanzo viene ricoverata di urgenza per una lavanda gastrica causata da "un'eccessiva quantità di sonniferi" misti ad altro.
Riportata a forza in Irlanda, "denunciata" dalla migliore amica e lasciata da Luke, il fidanzato, Rachel viene inserita dai genitori a Cloisters, una comunità terapeutica di Wicklow, che lei crede essere un trendissimo rehab center frequentato da celebrità e quindi una vacanza.
Ci vorrà tutto il libro, che parte faceto e via via si fa più serio (senza perdere un certo qual crudo umorismo irish), perché Rachel capisca di non essere affatto dove crede e realizzi di avere davvero "qualche " problema con la droga, traformando se stessa e rivedendo le sue relazioni.
Un libro che scorre velocissimo, magari un po' ripetitivo in alcuni passaggi, ma divertente. Non credo sia stato ancora tradotto e se lo è mi scuso, ma non ho capito da chi e come.
Se vi va di evadere o avete una qualsiasi dipendenza (anche dagli Smarties) è l'ideale.
lunedì, ottobre 22, 2007
giovedì, ottobre 18, 2007
J. Donne
As virtuous men pass mildly away,
And whisper to their souls, to go,
Whilst some of their sad friends do say,
The breath goes now, and some say, no:
So let us melt, and make no noise,
No tear-floods, nor sigh-tempests move,
’Twere profanation of our joys
To tell the laity our love.
Moving of th'earth brings harms and fears,
Men reckon what it did and meant,
But trepidation of the spheres,
Though greater far, is innocent.
Dull sublunary lovers’ love
(Whose soul is sense) cannot admit
Absence, because it doth remove
Those things which elemented it.
But we by a love, so much refin’d,
that our selves know not what it is,
Inter-assurèd of the mind,
Care less, eyes, lips, and hands to miss.
Our two souls therefore, which are one,
Though I must go, endure not yet
A breach, but an expansion,
Like gold to aery thinness beat.
If they be two, they are two so
As stiff twin compasses are two,
Thy soul the fixed foot, makes no show
To move, but doth, if th’other do.
And though it in the center sit,
Yet when the other far doth roam,
It leans, and hearkens after it,
And grows erect, as that comes home.
Such wilt thou be to mee, who must
Like th’other foot obliquely run;
Thy firmness makes my circle just,
And makes me end, where I begun.
lunedì, ottobre 15, 2007
- Sempre oggi è il nostro secondo bloggheanno, quindi ci facciamo gli auguri e ringraziamo tutti i lettori passati, presenti e futuri e i nostri vari recensori esterni. Con voi è tutto più bello!
domenica, ottobre 14, 2007
Direttore Antonio Pappano - Rrecensore esterno YARI
Programma:
Luciano Berio (Oneglia, 1925 – Roma, 2003)
Sinfonia per otto voci e orchestra - 35’
Giacchino Rossini (Pesaro, 1792 – Passy (Parigi), 1868)
Stabat Mater per soli, coro e Orchestra – 1h e 10’
Emma Bell soprano
Sonia Ganassi mezzosoprano
Lawrence Brownlee tenore
Shen Yang basso
Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia
Maestro del coro Norbert Balatsch
Direttore Antonio Pappano
Dentro la pancia della balena/astronave I
Insomma, per farla breve, è andata che ho trovato il modo di fare l’abbonamento, ad un prezzo ragionevole, all’intera stagione sinfonica dell’Accademia di S. Cecilia e, su gonzica richiesta, l’idea sarebbe quella di cercare di buttare giù qualche riga ad ogni appuntamento.
Non so fare premesse o quant’altro, quella è roba da chi se ne capisce davvero, io di tutto st’insieme di note ho capito solo una cosa, è assolutamente come con i libri e con il leggere, la stessa cosa, nessuno ti può costringere, niente ti ci può portare se tu non vuoi, è un viaggio che bisogna fare da soli fino ad affinarne una sorta di bisogno, è tutto legato a quello che arrivi a sentire: stringimenti di cuore, sentimenti e piccole felicità. E basta.
Si parte bene quest’anno, per l’inaugurazione è stato scelto uno di quei mix che piacciono tanto al direttore Antonio Pappano : la prima parte di programma è dedicata alla musica ‘moderna’ di Berio mentre la seconda parte si affida alla maestria di Rossini. Lo scopo è palese, forzare l’ascolto della prima, attraverso il richiamo della seconda.
Onestamente devo dire che io la musica classica ‘moderna’ non la amo particolarmente, il problema è tutto nelle basi, la musica è un linguaggio dai molti livelli e mentre della musica classica ‘classica’, lo so è fastidiosa sta cosa, ma non so dirlo meglio, possiedo elementi di grammatica derivanti dall’ascolto e da una qualche passata esperienza di pesudo-musicista, la musica classica ‘moderna’ che questa grammatica, tanto per cominciare, se l’è reinventata (d’altronde non poteva essere diversamente, visto che quando Berio scriveva sul pentagramma fuori era il 1968 con tutto quello che ne consegue), mi lascia come davanti ad una pagina scritta in ideogrammi…non so davvero da che parte iniziare.
Detto ciò, sarà forse perchè era un ciantafurche (nome degli abtanti di Oneglia) ma questa sera, devo ammettere, che la sinfonia di Berio dal terzo movimento in avanti mi è pure piaciuta, ma pensa te. Forse perché è, volutamente, riassuntivamente sperimentale nel senso che tenta nuove strade piegando vecchie forme a nuove dimensioni. Nel terzo movimento ad esempio, c’è un tema portante ripreso da Mahler che viene mostrato, nascosto, decomposto, masticato e poi rigurgitato in diversi modi. L’uso delle voci umane, considerate alla stregua di strumenti come gli altri, se pur stordente, ha in questo pezzo geniali intuizioni. Detto ciò, molto del mio giudizio positivo dipende dal fatto che mi aspettavo il peggio da questa parte. I Swingle Singers sono un’Ensamble fenomenale (odio le parole francesi ma come lo si dice in italiano un coro che non è un coro? E nemmeno un insieme di solisiti, ma una via di mezzo???) estrazione jazz, purezza di timbro e precisione nei tempi micidiale, bravissimi.
Ci sarebbero mille altre cose da raccontare, di come, ad esempio, il secondo movimento derivi dalla scomposizione del nome di Martin Luther King e di come impazzino sino quasi a sembrare un rap ante litteram le citazioni del grande antropologo Levi-Strauss…ci rinuncio e vado avanti.
Giuro, dello Stabat Mater ho capito che mi sarebbe piaciuto dalle prime 10 battute. Il genio è già tutto lì, come spesso accade, in quella formula magica che ti prende dal tuo secolo, dai tuoi casini, dalle tue sciocchezze e ti sbatte ai piedi di una croce a veder morire tuo figlio con gli occhi di Maria.
Emma Bell è bellissima nel suo vestito bianco ed è anche davvero brava, sarebbe da invitare a cena solo per sentirla leggere il menù, degli uomini ho preferito il basso al tenore (ma mi accade spesso a meno che i tenori non siano davvero bravi) mentre per quanto riguarda Sonia Ganassi il timbro la relega , quasi sempre, ad un ruolo di piano inferiore rispetto ai soprani, che forse non meriterebbe.
Non mi soffermo sulla partitura è bellissima e se uno ha un minimo di curiosità per queste cose io penso che sia da ascoltare subito. Dirò solo che il finale in fuga mi è piaciuto tantissimo, ma con le fughe mi si frega sempre e quindi non faccio testo. Vorrei essere in grado di dire come è stata eseguita, ma so già che non ci riuscirò, hanno suonato in modo emozionante. L’anno scorso avevo notato che Pappano faceva rendere al meglio l’orchestra soprattutto nelle parti veloci e ritmate (Mozart, Chaikovski ecc ecc) ma non incantava nelle parti piene di colori e di temperature diverse forse per paura di abbandonarsi ad un lirismo fuori luogo. Oggi invece è stato proprio nelle parti recitate o quasi sussurrate il punto di forza dell’esecuzione, nell’attenzione, nella sottile delicatezza delle scelte di punteggiatura che hanno fatto rendere al meglio qualcosa di suo, già molto vicino alla perfezione. In sostanza è come se l’orchestra fosse migliorata durante questa pausa estiva e l’avesse voluto dimostrare subito ai blocchi di partenza della stagione. Il coro, come sempre, è come un solista a cui esce l’assolo, come un ciclista che vince una tappa in solitaria, degno di nota e di un applauso speciale.
Le cose vanno coltivate, quando piacciono, quando danno se non felicità, almeno emozioni. So che la musica classica non viene solitamente associata ad emozioni diverse da quelle che portano dritto per dritto al sonno, ma io, per quanto vale, garantisco una cosa, è il caso di dargli una possibilità, perché se poi per fortuna si capita in poltrona, in una giornata come questa, è facile che se ne voglia ancora, sino a non smettere più.