E' tornato, lo stesso uomo che ha scritto "Ti prendo e ti porto via" e "Io non ho paura" è tornato, e le cose non sono cambiate, per fortuna.
Ogni volta che leggo uno dei miei scrittori preferiti ho il timore che mi deluda, anche perchè bisogna ammettere che rimanere su certi livelli non deve essere facile, specie per tutte le pagine di questo libro, invece c'è riuscito.
Di Ammaniti avevamo già parlato alla fine del 2005 e io mi ritengo una sua grande fan, nonostante suo padre una decina di anni fa mi abbia bocciato all'esame di psicopatologia generale e dell'età evolutiva, ma si sa che le colpe dei padri non devono ricadere sui figli...
Quindi nonostante Branchie non fosse un granchè ho continuato a leggerlo e in questo caso quello che ho scoperto è che i romanzi gli vengono meglio dei racconti; deve avere delle origini sudamericane, senza però la necessità di farci affogare in milioni di personaggi.
Anche in questo nuovo romanzo è la disperazione a farla da padrone, una disperazione canalizzata che però esonda in una terribile notte di temporale, una specie di super signora delle pulizie che lava tutto prima di rimettere a posto.
C'è da dire che l'autore si conferma senza pietà, chi deve morire muore e peggio per lui, ma le cose più belle sono i pensieri di Cristiano, protagonista del romanzo insieme a suo babbo, probabilmente l'unico naziskin simpatico sulla faccia della terra, e credo sia dura.
La vita vista da un tredicenne, diversa però dai soliti libri sull'argomento, quelli in cui gli unici problemi sono dati dai brufoli e dalle ragazze: Cristiano ha ben altri problemi e se li risolve tutti da solo, mi ha fatto tornare in mente una frase di Che Guevara, quella che finiva con "...senza perdere mai la tenerezza."
Da un certo punto di vista questo è anche un libro d'amore e di come questo non sia mai lineare, ma trova sbocchi impensati e imprevisti, oltre a deviazioni e burroni, l'amore dal suo lato più dolente. Bel libro, valeva la pena aspettare così tanto.
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