Nella mia totale ignoranza ho creduto fosse il caso di leggere qualcosa di un premio nobel per la letteratura, purtroppo tornato alla ribalta solo in occasione della sua morte.
Mi sono quindi presa questo libro molto piccolo, ma molto molto bello. Sono racconti sparsi, tratti probabilmente dalle memorie giovanili dell'autore, e ogni piccolo paragrafo è una specie di polaroid di quella che doveva essere uno spaccato del Cairo dei primi del '900.
Vengo così a sapere che ogni quartiere era in perenne lotta con l'altro, esattamente come gli egiziani cercavano di scacciare gli inglesi e che c'erano i cosidetti futuwwa, gli "sceriffi" del quartiere, che si incaricavano di proteggerne la popolazioni dagli attacchi esterni, ma si facevano pagare tangenti dai negozianti e spadroneggiavano tirannicamente facendo i loro comondi in quanto intoccabili.
Osserviamo quello che per l'Egitto è stato un momento di passaggio tra l'imperialismo inglese e il raippropriarsi dei poteri, prima da parte del re e poi, in seguito, da parte del primo ministro Saad Zaghlul acclamato come salvatore della patria.
La parte migliore del libro è comunque lo sguardo innocente e contemporaneamente distaccato con cui l'autore riesce a cogliere i particolari, belli e brutti, tristi e felici che riempiono il libro, mi ha ricordato un pochino il Singer di "Un giorno di felicità", quello appunto in cui racconta della sua infanzia nel ghetto di Cracovia, approssimativamente negli stessi anni di Mahfuz.
Bel libro, sembra di guardare le foto delle vacanze di vostro nonno da bambino.
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