martedì, febbraio 05, 2008

Tedeschia
Io e il gonzorte stiamo seguendo un corso di tedesco per varie ragioni, quella fondamentale che mi riguarda in prima persona sono i Rammstein, ma la scusa ufficiale è un eventuale trasferimento nel paese di omertà marrone (Braunsweig, che in realtà è un cognome).
Il nostro insegnante di tedesco (grande Christian!) ha scritto quanto segue, è un po' lungo ma vale la pena e ringraziamo il sito Scena Illustrata sul Web dal quale lo abbiamo copia/incollato...

INTERVENTO ALLA GIORNATA DELLA MEMORIA 2008 PRESSO L’UPTER DI ROMA
I TEDESCHI DI FRONTE AL LORO PASSATO

domenica 3 febbraio 2008

Ospitiamo con molto piacere il testo integrale dell’intervento del dr. Christian Blasberg, docente di storia e lingua tedesca, tenuto il 24 gennaio 2008 presso la nuova sede dell’UPTER (Università Popolare di Roma) in via Quattro Novembre 157, in occasione dell’inaugurazione della mostra “TESTIMONI/ZEUGEN”.
Riteniamo che questo discorso contenga una notevole quantità di informazioni non molto conosciute in Italia, ma assai importanti ed interessanti, sull’atteggiamento dei governi e della popolazione tedesca dopo il 1945 nei riguardi dei crimini dello sterminio attuato dai nazisti.

Vorrei fare alcune osservazioni sul modo nel quale i tedeschi, in quanto il popolo al quale spetta la quasi esclusiva responsabilità collettiva per l’olocausto, hanno affrontato e si sono relazionati al loro proprio passato negli anni dopo il ’45 e fino ad oggi.
Il fatto stesso che, appositamente per tale processo, si è stabilito, nel corso degli anni, un nuovo assetto di termini, che va dalla “Aufarbeitung” (forse traducibile con ‘elaborazione’ del passato) alla “Vergangenheitsbewältigung” (un termine pressoché intraducibile che descrive appunto il ‘modo di affrontare e gestire gli insegnamenti’ tratti da questa elaborazione) e alla “Erinnerungskultur” (la permanente ‘cultura della memoria’), questo fatto dimostra che, senza dubbio, un impegno autocritico da parte dei tedeschi ha avuto luogo. [
1]
Le parole dell’attuale Presidente della Repubblica Tedesca, Horst Köhler, citate dall’ambasciatore Gerdts all’occasione dell’inaugurazione della presente mostra alla Scuola Germanica di Roma l’anno scorso, ma anche precedenti discorsi come quello famoso del Presidente von Weizsäcker nel 1985 [
2] e l’iniziativa del Presidente Herzog, nel 1996, per l’introduzione della giornata della memoria del 27 gennaio, adottato dall’ONU nel 2005, dimostrano che, almeno da parte della classe politica dirigente, gli insegnamenti di un passato unico nella sua tragicità, e le da essi derivanti responsabilità nei confronti del futuro sembrano compresi.
Altre espressioni come quella dell’Ex-Cancelliere Helmut Kohl, il quale una volta parlò della “Gnade der späten Geburt” [
3] (la ‘grazia della tarda nascità’, cioè la fortuna che avrebbero le classi nati dopo il 1930 circa, perché non sarebbero più in età sospettabile di poter essere incolpate per i crimini di guerra) invitano invece ad un maggiore distacco delle nuove generazioni da quelle direttamente responsabili e, quindi, favoriscono una tendenza al superamento del passato collettivo del popolo tedesco.
Le cosidette “Schlussstrichdebatten” (le discussioni sull’opportunità o meno di mettere un punto finale al continuo pubblico confronto con il capitolo più buio della storia tedesca) sono l’altro lato della gestione del passato. Dimostrano i segni dell’esasperazione che alcuni provano per un processo che sembra loro ormai aver assunto le caratteristiche di una auto-flagellazione da parte di chi, personalmente, non ha fatto del male a nessuno, e chi sente i ripetuti appelli al non-dimenticare come un peso. Dimostrano anche che la storia del confronto con l’olocausto in Germania è stata comunque travagliata e intensa e, da generazione in generazione, ha subito significative trasformazioni.
All’inizio furono gli alleati ad occuparsi della punizione dei colpevoli e della denazificazione di tutto l’apparato burocratico e economico in Germania. A Norimberga furono giustiziati i superstiti gerarchi del regime e altri criminali di guerra. [
4] Non esisteva però, diversamente dall’Italia, un governo antifascista che avrebbe potuto incaricarsi di una politica di epurazione. Questa spettava agli alleati che trattavano il compito, nelle loro rispettive zone, secondo criteri ideologici e secondo il grado della loro tradizionale ostilità nei confronti della Germania, più zelanti francesi e sovietici, un po’ meno americani e britannici.
Il tedesco medio, come ha testimoniato il Presidente della Comunità ebraica di Roma, Leone Paserman, si vergognava di fronte all’atroce realtà che era venuta alla luce con la liberazione dei campi di concentramento. Questa realtà superava, nella sua mostruosità, ogni immaginabile dimensione di ciò che aveva potuto sapere del crimine che si stava consumando.

La prima clamorosa manifestazione di auto-accusa fu il Stuttgarter Schuldbekenntnis (la ‘confessione della colpa’) della Chiesa Protestante, che dichiarò: “Accusiamo noi stessi di non aver confessato più coraggiosamente, di non aver pregato più fedelmente, di non aver creduto più gioiosamente, di non aver amato più ardentemente!” [
5] In generale, però, si cercò di tacere e dimenticare, concentrandosi sull’enorme sforzo della ricostruzione del paese. Quest’atteggiamento, se era un riflesso naturale per gli innocenti, faceva invece comodo a chi era colpevole.
Di governi, poi, la Germania ha avuto ben due, i quali, di diversa impronta ideologica, assumevano modi diversi di relazionarsi al passato del defunto Reich. Mentre la DDR si vedeva come stato nuovo e emanazione dell’antinazismo socialista e, quindi, declinava ogni responsabilità per quanto era accaduto, la Repubblica Federale, caricandosi volutamente della difficile eredità e continuità dello stato tedesco, avrebbe dovuto farsi promotrice di una politica epurativa. [
6]
In realtà, il governo federale cercò, negli anni 50, di guadagnare fiducia tramite il pagamento di risarcimenti allo stato di Israele e ad organizzazioni ebraiche (esclusi comunisti e altri gruppi di perseguitati). Man mano aumentarono anche i processi contro responsabili di secondo piano. Nello stesso tempo, però, molti funzionari del regime nazista ritrovarono impiego nelle strutture burocratiche dello stato democratico, anche ad alto livello. La fondazione, già nel 1950, dell’’Istituto per la ricerca sul passato nazionalsocialista’ a Monaco fu, comunque, un primo segnale della serietà dell’impegno assunto di elaborare il passato dal punto di vista storiografico. [
7]
Gli anni 60 videro l’intensificarsi del confronto giuridico col passato, con il fortissimo eco che ebbe in Germania il processo contro Adolf Eichmann, figura chiave della ‘burocrazia della morte’, in Israele, e il processo Auschwitz a Francoforte. [
8] Da iniziative studentesche nacquero le mostre “Giurisdizione nazista inespiata” (1959-62) e “Il passato ammonisce” (1960-62). Ma, al seguito del dibattito sulla prescrizione, un sondaggio del ’65 rivelò che metà della popolazione chiedeva l’immediata cessazione di tutti i processi contro gli ex-nazisti e la fine della persecuzione dei crimini. La società tedesca occidentale si vide profondamente scissa tra le due posizioni - quella orientale continuò a celebrare la propria innocenza.
La svolta fu il ’68. Per la prima volta, una generazione nata e cresciuta dopo la guerra si inserì nel dibattito e poneva la decisiva domanda alla generazione dei ‘padri’, perché non avessero agito contro il regime nonostante che l’evidenza del genocidio fosse stato percepibile a tutti. Un nuovo atteggiamento nei confronti della Shoah, la pubblica denuncia senza indugi di ogni crimine nazista e, più ancora, il totale sradicamento di qualsiasi valore e norma nazionalsocialista ancora vigente furono le richieste dei giovani; il ’68 tedesco fu l’accusa alla Repubblica Federale di essere in realtà uno stato nazista camuffato. [
9]
La contestazione generalizzata ebbe un fortissimo effetto sul mondo accademico e culturale degli anni 70 e 80, con lavori scientifici e artistici e produzioni cinematografici e teatrali che affrontarono i temi calienti del passato nazista con un mai conosciuto senso di autocritica. Il termine “Holocaust” fu introdotto in Germania nel ’79 con l’omonimo film americano e divenne presto il sinonimo dell’assoluto orrore genocida.
Dalla metà degli anni 80, però, con il nuovo clima politico diffusosi con il governo Kohl, si assistette al sorgere di una corrente revisionista che tentò di relativizzare l’olocausto, ponendolo in paragone con le purghe sovietiche degli anni 20 e 30 e rilegandolo cosi ad un posto nella storia. Il cosi detto “Historikerstreit” (la ‘controversa degli storici’) degli anni ‘85/’86 trovò grande eco nella società tedesca e segnò una seconda svolta, compiutasi poi con l’unificazione delle due Germanie nel ‘90. [
10]
Conclusosi allora un altro capitolo della storia tedesca, e sostituitasi una nuova generazione a quella dei sessantottini, essi ormai i ‘padri’, fu sentito lecito risistemare l’assetto delle domande al passato del proprio popolo. Tra la “Aufarbeitung” e la “Bewältigung” della storia della DDR, quella del terrorismo rosso degli anni 70 e la ridefinizione del ruolo della Germania nel nuovo ordine mondiale, l’olocausto sembrò in effetti rilegato a diventare un pezzo - seppure sempre il più orribile - della storia, il suo insegnamento diventato ormai parte della cultura vissuta dei tedeschi - fino alla scoperta dell’esistenza di un diffuso spirito neonazista nelle popolazioni della ex-DDR.
Gli atti di violenza razzista nei nuovi Länder negli anni 90 risvegliarono le coscienze e portarono in primo piano la necessità di continuare a tenere presente il passato. Negli ultimi anni si tutela il primato della cultura della memoria dell’olocausto con sempre nuove iniziative, prima tra queste il noto monumento a Berlino o, di recente, il ‘treno della memoria’, un treno mostra partito da Francoforte che percorre l’itinerario dei treni di deportazione per arrivare, l’8 maggio 2008, a Auschwitz.
Anche la spinta revisionista, però, è rimasta viva e vuole, se non sostituirla, almeno abbinare alla memoria dell’olocausto una memoria anche dei tedeschi vittime di crimini di guerra. I telefilm sui milioni di profughi cacciati dai territori orientali della Germania - oggi situati in Polonia e Russia - oppure le iniziative per un monumento di memoria ai profughi a Berlino rischiano di confondere nella mente collettiva le idee sui ruoli e le responsabilità degli uni e degli altri. [
11]
Se oltre 10 milioni di tedeschi hanno dovuto fuggire dalle loro terre negli anni a partire dal ‘44, e centinaia di migliaia hanno perso la vita, era comunque sempre una conseguenza della guerra scatenata dai loro connazionali; e la guerra, soprattutto quella del ventesimo secolo, assume sempre più delle dinamiche incontrollabili, perché coinvolge in pieno le popolazioni civili; il soldato perde la sua qualità umana e si trasforma in un abulico strumento omicida che non fa più distinzioni tra responsabili e innocenti tra la popolazione nemica. Mai, quindi, l’ingiustizia inflitta ai tedeschi potrebbe essere messa sulla bilancia per alleggerire il peso delle colpe di chi ha ucciso sistematicamente 6 milioni di ebrei e altri perseguitati nei campi di sterminio.
Bisogna salvare la particolarità dell’olocausto evitando di integrarlo nel flusso della storia con i suoi ‘normali’ catastrofi e i suoi ‘normali’ crimini che pure tristemente si ripetono di volta in volta. Stiamo, però, in mezzo ad una transizione in atto, quella del venir meno delle generazioni che, come vittime sopravvissute o come responsabili ed esecutori del crimine assoluto, hanno vissuto in prima persona il genocidio. Non ci sarà più il contatto diretto tra coloro e le generazioni nuove. È quindi inevitabile che l’olocausto, prima o poi, diventa storia. Perciò dobbiamo piuttosto imparare di distinguere tra storia che passa e storia la cui esperienza rimane come insegnamento e valore morale ispiratore del nostro presente.
La Germania, se ha senz’altro ogni diritto di normalizzarsi nella comunità dei paesi, ha nello stesso tempo anche il dovere di dimostrare la sua maturità tramite la sua capacità di trasformare il suo passato particolare in una memoria viva che può trasmettere come messaggio di civiltà al mondo.
Christian Blasberg

[1] Letteratura: Eitz Thorsten, Stötzel Georg, Wörterbuch der "Vergangenheitsbewältigung" : die NS-Vergangenheit im öffentlichen Sprachgebrauch. Darmstadt 2007.
[
2] Il discorso di von Weizsäcker: www.bundestag.de/geschichte/parlhist/dokumente/dok08.html Letteratura: Maier-Dorn Emil, Zu von Weizsäckers Ansprache vom 8. Mai 1985. Grossaitingen 1987.
[
3] Il discorso di von Weizsäcker: www.bundestag.de/geschichte/parlhist/dokumente/dok08.html Letteratura: Maier-Dorn Emil, Zu von Weizsäckers Ansprache vom 8. Mai 1985. Grossaitingen 1987.
[
4] Letteratura: Cattaruzza Marina, Il processo di Norimberga, tra storia e giustizia. Torino 2006.
[
5] Letteratura: Hiddemann Brigitte (Hrsg.), Das Stuttgarter Schuldbekenntnis: 1945-1985. Mühlheim 1985.
[
6] Letteratura: Gansel Carsten, Gedächtnis und Literatur in den „geschlossenen Gesellschaften“ des Real-Sozialismus zwischen 1945 und 1989. Göttingen 2007. Dirks Christian, Die Verbrechen der anderen : Auschwitz und der Auschwitz-Prozess der DDR: das Verfahren gegen den KZ-Arzt Dr. Horst Fischer. Paderborn, München, Wien, Zürich 2006.
[
7] Sito internet dell’Istituto: www.ifz-muenchen.de ; consultabile anche in lingua italiana.
[
8] Letteratura: Pendas Devin O., The Frankfurt Auschwitz trial, 1963 - 1965 : genocide, history, and the limits of the law. Cambridge, New York 2006.
[
9] Letteratura: Seidl Florian, Die APO und der Konflikt mit der “Vatergeneration”: NS-Vergangenheit im Diskurs der „68er“ Studentenbewegung. Nürnberg 2006. Fels Gerhard, Der Aufruhr der 68er : zu den geistigen Grundlagen der Studentenbewegung und der RAF. Bonn 1998
[
10] Letteratura: Tranfaglia Nicola, Historikerstreit e dintorni: una questione non solo tedesca. [senza luogo], 1988. Nolte Ernst, Der Europäische Bürgerkrieg 1917-1945. Nationalsozialismus und Bolschewismus. Frankfurt a.M. 1987. Nolte Ernst, Das Vergehen der Vergangenheit: Antwort an meine Kritiker im so genannten Historikerstreit. Berlin 1987. Aly Götz, Logik des Grauens. Was wissen wir heute wirklich vom Holocaust? Eine Bestandsaufnahme 20 Jahre nach dem Historikerstreit. In: Die Zeit, 1. Juni 2006 (http://zeus.zeit.de/text/2006/23/Holocaust-Forschung_xml) Geiss Immanuel, Der Hysterikerstreit. Ein unpolemischer Essay. Bonn/Berlin 1992. Geiss Immanuel, Der Hysterikerstreit. Ein unpolemischer Essay. Bonn/Berlin 1992. Low, Alfred D., The Third Reich and the holocaust in german historiography: toward the Historikerstreit of the mid-80’s. Boulder, 1994.
[
11] Letteratura: Aust Stefan (Hrsg.), Die Flucht. Über die Vertreibung der Deutschen aus dem Osten. München 2005. Glotz Peter, Die Vertreibung. Böhmen als Lehrstück. München 2003. Schaal Björn, Jenseits von Oder und Lethe. Flucht, Vertreibung und Heimatverlust in Erzähltexten nach 1945 (Günter Grass, Siegfried Lenz, Christa Wolf). Trier 2006. Hermes Stefan, Täter als Opfer? deutschsprachige Literatur zu Krieg und Vertreibung im 20. Jahrhundert. Hamburg 2007.

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