lunedì, dicembre 03, 2007

Muriel Barbery "L'eleganza del riccio" ed. e/o 18.00 spesi bene

Come preannunciato ecco qui il post sul libro più bello che mi sia capitato tra le mani da anni, e vi assicuro che non sono pochi. Probabilmente me l'avete visto già scrivere parecchie volte, ma questo post annulla i precedenti.

L'eleganza del riccio o il mondo visto dalla guardiola di una portineria di un elegante condomino francese, che diventa specchio e finestra sulle debolezze umane, con due giudici d'eccezione: Paloma, dodicenne disincantata il cui QI fa sfigurare quello di chiunque altro e Renèe, la portinaia che cita Proust, affascinata dai film giapponesi e che riconosce alle prime note l'Enea e Didone di Purcell.

Un microcosmo che viene turbato dall'arrivo del Sig. Ozu, giapponese con tutti i crismi che riconosce e toglie le maschere ad entrambe, permettendo loro di essere, per la prima volta, veramente se stesse.

Un libro narrato a due voci, si alternano quella di Renèe e quella di Paloma, anche il carattere è diverso proprio per non farci cadere in errore per quanto sono simili le loro visioni del mondo che le circonda; stupende alcune frasi che emergono dalle riflessioni delle due donne: "...la gente crede di inseguire le stelle e finisce come un pesce rosso in una boccia".

Due personaggi che cercano a tutti costi di non allontanarsi dai loro clichè in modo da poter vivere in pace negli spazi che si ritagliano all'insaputa degli altri. Il dialogo tra Paloma e lo psichiatra della madre vale da solo tutti i soldi del libro.

"Chi semina desiderio raccoglie oppressione" afferma Renèe citando Marx, ma solo quando è convinta che il suo interlocutore non la possa capire, mentre le pagine del diario di Paloma ci fanno vedere il mondo attraverso gli occhi di una dodicenne aspirante suicida il cui distacco dalle cose del mondo sembra già pari a quello di un monaco tibetano, con diversa soluzione.

Cita Husserl la portinaia e guarda i film di Ozu, il grande cineasta, che conosce il concetto di “wabi”, che vuol dire “forma nascosta del bello, qualità di raffinatezza mascherata di rusticità”, mentre Paloma disserta sulle profondissime differenze d'impostazione e di scopi tra gli scacchi e il go.

Renée e Paloma riescono a spacciare letture colte, cinema di élite e teorie filosofiche, senza la minima pedanteria, probabilmente io mi sono accorta di un decimo delle citazioni, lasciando che il libro continui a scorrere senza incontrare nemmeno un ostacolo.

Spero di avervi convinto a comprarlo, al massimo fatevelo regalare per Natale, perchè ne vale proprio la pena. Se volete, fatevi anche un giro qui.

8 commenti:

Elisaday ha detto...

dannazione, un altro libro da segnarsi! :D

Gonza ha detto...

Chi semina desiderio raccoglie oppressione...una frase emblematica, mia socia. (si allontana piangendo)
:-)
GA

Silvia ha detto...

Mia hai proprio convinta!
Lo voglio!!!

Anonimo ha detto...

Già messo sul cumulo :-)
E' il prossimo in lista al termine della 'Trilogia della città di K'.

Gonza ha detto...

ohh la trilogia, che meraviglia, certo non nel senso del riccio ovviamente, ma a sua volta un must

Anonimo ha detto...

Sono davvero contenta di sapere quanto ti sia piaciuto!!!

SimonaC

Anonimo ha detto...

L'eleganza del Riccio: elegante e intrigante, appassionante e intelligente.
Cosa chiedere di più ad un libro? Da quando l'ho letto continuo a ripensarci, e non vedo l'ora che l'amica alla quale l'ho prestato me lo restituisca per rileggerlo.
Un unico appunto: e' stato tradotto da due persone, e la fluidita' del racconto ne risente, secondo me, e anche parecchio.

Azazel ha detto...

Le prime pagine di questo libro molto ben recensto, un po’ovunque, scorrono piacevolmente. L’inizio è avvincente ed i personaggi ben delineati.
L’idea di fondo che caratterizza il testo è anch’essa interessante: una portinaia ed una bambina di 12 anni che vivono nello stesso palazzo dell’alta borghesia parigina hanno qualcosa in comune: sono molto intelligenti e colte ma fanno di tutto per nasconderlo.
Fin qui tutto bene.
Poi cominciano le stronzate. Anzi voglio ribattezzarle “francesate”.
Cos’è una francesata? Un tentativo malriuscito di essere originali e sofisticati, lo troviamo, ad esempio, quando la protagonista per comprovare la validitá di alcune teorie filosofiche si mangia delle susine mirabelle... “Il test della mirabella si svolge nella mia cucina. Poggio sul tavolo di formica il frutto e il libro e, addentando l'uno, mi lancio anche sull'altro. Se entrambi resistono ai vigorosi assalti reciproci, se la susina non riesce a farmi dubitare del testo e il testo non giunge a rovinare il frutto, allora so che mi trovo davanti ad un'impresa di una certa importanza e, diciamolo pure, inconsueta, perchè ben poche opere non risultano ridicole, insulse e annientate dalla straordinaria succulena delle piccole delizie dorate”.
Ecco, questa è una francesata gigante e perfetta ma ce ne sono altre, a bizzeffe.
Come quando la pingue madame Michel afferma che “cederei l’intero ‘400 italiano” per alcune nature morte fiamminghe come quelle di Pieter Claesz.
Tipica francesata: idea bizzarra e difficilmente condivisibile ma pronunciata in modo perentorio.
Il fine della francesata è quella di affermare la prorpia individualitá distaccandosi dall’altro con un moto che è simile al disprezzo. Non si preferisce Claesz a Michelangelo ma si cede il Rinascimento italiano per un paio di limoni su tela.
Poi c’è un’altra caratteristica del pensiero contemporaneo francese che emerge nitidamente dalla lettura, si tratta dell’attrazione per la (a volte la peggiore) cultura anglosassone: vengono citati come esempi mirabili di cinema, Blade Runner (il film preferito di Gerry Scotti, n.d.a.), Caccia a Ottobre Rosso e Die Hard. La protagonista si vanta di essere un’onnivora di cinema e non ha vergogna a dire che guarda i Blockbuster. Sicuramente si deve al fatto che i francesi non sanno fare film leggeri e divertenti e credono di essere originali e radical-chic quando si entusiasmano davanti ai film d’azione hollywoodiani.
E che dire dei protagonisti che disquisiscono su quale sia la cultura egemone d’Europa, ovviamente giocandosela tra inglese e francese, alla presenza dell’umile domestica portoghese, trattata con viscido paternalismo, quasi come un panda allo zoo? Atrocemente volgare.
In sostanza ció che prevale non è – come potrebbe sembrare- la critica alla vacuitá delle classi dominanti o l’affermazione individuale dei personaggi marginali ma piuttosto uno snobismo intellettuale tipicamente francese, ottuso e superficiale, mascherato d’improbabile umanesimo.
Uno snobismo che é il contraltare della vacuitá che l’autrice sottolinea criticamente nelle classi alte. Un finto intellettualismo fatto di bizzarrie ed inutili sofisticatezze. Le protagoniste che dovrebbero essere tanto diverse e orginali come si comportano? Mescolano cucina giapponese e pittura rinascimentale, teologia con Eminem e fenomenologia con frutta di stagione. Fanno esattamente quello che ci si aspetta che faccia una ricca signora in un salotto buono della Parigi/Londra/New York che conta.
Ripugnante ipocrisia.
Lettura interessante per capire in quale sorta d’abisso si sia ficcata la cultura francese, un tempo egemone nel mondo.